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"CHILDE ROLAND TO THE DARK TOWER CAME
(Childe Roland alla torre nera giunse)
by Robert Browning
XXI
E mentre lo passavo a guado – per tutti i santi - come ho temuto
di calpestare le guance d’un morto, passo dopo passo,
o di sentire la lancia che infilavo nei buchi,
impigliarsi nei suoi capelli o nella barba!
- Può essere un topo d’acqua che avevo infilzato, ma,
oddio! ha risuonato come il vagito d’un bambino.
XXII
Felice raggiunsi l’altra sponda.
E partii alla ricerca d’un posto migliore. Vana speranza!
Ignoti guerrieri avevano ingaggiato battaglia
ed il loro calpestio selvaggio ammollava il terreno
umido, ormai un pantano. Rospi in un serbatoio avvelenato
o gatti selvaggi in una gabbia di ferro rovente. –
XXIII
Tale appariva la battaglia in quella feroce arena,
che cosa li rinchiudeva là, con tutta quella pianura attorno?
Nessun' orma conduceva a quell’ orrido serraglio,
nessuna ne usciva. Un insieme pazzo scuoteva i loro cervelli
senza dubbio, come i galeotti che il Turco
aizza per divertimento, cristiani contro ebrei.
XXIV
E più ancora – duecento passi avanti - perché, là!
Per quali torture era stata piazzata quella ruota,
leva, non ruota, quell’ordigno dentato
che dipana corpi umani come seta?
Preciso come lo strumento di Tofet, che ha dimenticato sulla Terra
o ce l’ha portato per affilarne i denti arrugginiti d’acciaio.
XXV
Poi giunsi ad una ceppaia, una volta un bosco,
e dopo quella che sembrerebbe esser stata una palude, ma ora solo terra
disperata e sfatta; (così un folle trova da rallegrarsi,
fa una cosa e poi la guasta, finchè il suo umore cambia
e si spegne!) all'interno d'un quarto d’acro
- palude, argilla e ghiaia, sabbia e nero seccume.
XXVI
Ora bubboni dalle macchie colorate e torve, ora zone
ove dal terreno erompevano muschi,
o materia di pustole; e poi
una quercia rachitica barcollante con uno squarcio nel mezzo
simile ad una bocca storta che si fende ai lati
spalancata alla vista della morte e morta nel raccapriccio.
XXVII
Ed ero lontano più che mai dalla meta!
Niente laggiù se non il buio, niente,
a guidare più oltre il mio passo! A quel pensiero,
un uccello nero grande amico d’Apollyon,
passò volteggiando, immoti le grandi ali spiegate di drago,
fino a sfiorarmi il cimiero – forse era la guida che cercavo.
XXVIII
Osservando in alto, mi accorsi non so come,
a dispetto dell’imbrunire, la pianura aveva dato il posto
tutt’intorno alle montagne - con tale nome da far fiorire
alture brulle furtivamente apparse-.
Quanto mi avessero sorpreso – a voi scoprirlo!
Il vero problema era adesso come allontanarsene.
XXIX
Tuttavia m’è sembrato di riconoscere un certo trucco
che m’era capitato, dio sa quando –
in un sogno difettoso forse. Qui si concludeva dunque
il cammino. Quando, proprio nel momento
d’arrendermi, una volta ancora, un clic
come quando una trappola si chiude – e resti dentro.
XXX
Come fiamma che è venuta su me tutto d'un tratto,
questo era il posto! quelle due colline a destra,
acquattate come due tori che si sono intrecciati
i corni nella lotta; mentre a sinistra stava un’ alta montagna
pelata... Zuccone, idiota, rimbambirti nel momento cruciale,
dopo una vita spesa ad addestrarti nella visione!
XXXI
Che cosa c’era lì in mezzo, se non la Torre?
la torre tozza e rotonda, cieca come il cuore dello sciocco,
eretta con la pietra scura, senza uguale al mondo intero.
Lo spiritello beffardo della tempesta
indica così al marinaio lo scoglio affiorante, dove può cozzare
solo quando il fasciame sobbalza.
XXXII
Non vedere? a causa della notte forse? - perché il giorno
tornò ancora! Prima del tramonto,
ed il tramonto morente brillò da una fessura:
le colline, come i giganti a caccia, appostate,
mento sulla mano, davanti alla bestia braccata -
'Ora affonda la lama fino all’elsa – e uccidila! '
XXXIII
Non sentire? Quando il fragore era dappertutto!
E un rintoccare crescente come di campane. I nomi nei miei orecchi
di tutti i compagni di ventura, miei pari, persi –
come tal era forte e tale era ardito
e tale fortunato, tuttavia ciascun compagno d’un tempo, perso,
perso per sempre! per un momento rintoccò la tristezza degli anni.
XXXIV
Stavano levati in piedi, sparsi lungo il pendio, venuti
ad osservare il mio ultimo istante, struttura vivente
per un' nuova immagine! Fasciati di fiamme
l’ho visti e l’ho riconosciuti tutti. Allora
portai il corno alle labbra e soffiai:
' Childe Roland alla Torre Nera giunse. ' |
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