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la chiesa delle storie
02-12-2005 12:47
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Nel 1998, mentre mi trovavo a Los Angeles durante le riprese di Fight Club, sono andato insieme ad amici a visitare il Getty Museum. Tutti quegli antichi manufatti, gli oggetti decorativi, le teorie infinite di opere d'arte, contemplate in un silenzio stordito dai turisti: che eravamo io e i miei amici. Quella sfilata senza fine di capolavori. Era troppo. Come in un assalto ai saldi: gli occhi che tentano di classificare ogni oggetto, un luogo nella storia, una storia. Troppe storie famose accrocchiate su quella collina fuori Los Angeles. Naturalmente quella giornata è diventata un racconto.
Negli anni Settanta, quand'ero ragazzino, i musei erano più alla mano. Andavi nelle gallerie d'arte e distruggevi le opere. Prendevi un martello pneumatico e demolivi il naso della Pietà. Baciavi un quadro e ci lasciavi sopra il rossetto. Lavoravi di spray sulla Gioconda, innescavi un ordigno a tempo per ridurre dei Mirò a spazzatura. Di questi tempi, si sa, il Getty ha invece custodi armati e plexiglas e detector. Così mi sono trovato a chiedere ai miei amici: "E se invece di assaltare o distruggere le opere messe in mostra, un artista frustrato andasse a piazzare i suoi quadri nei musei?". Questo artista farebbe il suo quadro a casa, lo incornicerebbe, ci applicherebbe il nastro biadesivo, se lo metterebbe sotto il cappotto. Arriverebbe qui come noi, aprirebbe il cappotto e appenderebbe il quadro alla parete tra i Picasso e i Renoir.
Questa ipotesi scherzosa divenne presto un racconto, intitolato Ambition, e si trasformò in sceneggiatura. E' la storia di un artista che dispera di passare alla storia e io l'ho usata in un libro che si intitola Haunted e sta per essere pubblicato, insieme ad Ambition, a maggio.
Il 13 marzo, al Metropolitan Museum hanno trovato un delizioso ritratto in cornice dorata di una donna che indossava una maschera antigas, appeso tra i quadri esposti. Il 16 marzo, al Brooklyn Museum, hanno trovato il ritratto di un ufficiale d'esercito del diciottesimo secolo che ha in mano una bomboletta spray. Il 17 marzo, al Museum of Modern Art, hanno trovato un quadro che rappresentava una confezione di zuppa di pomodoro. Al Louvre e alla Tate hanno trovato quadri del genere appesi sui muri.
Secondo il New York Times, si tratta dell'opera di un artista graffitaro di nome Bansky, il quale indossa un impermeabile e una barba finta, e va ad appendere i suoi lavori tra i capolavori. Coincidenza? Oppure siamo tutti la stessa persona molto più di quanto siamo disposti ad ammettere? I miei pensieri sono pensieri vostri a un tale punto che faccio davvero fatica a qualificarli come pensieri miei. Per quanto teniate nascosta la vostra più morbosa fantasia, un altro ci si arricchirà andando a cantarla in radio.
E' meglio nascondere la vostra più orrenda idea e sperare che gli altri facciano lo stesso, oppure rappresentarla e condividerla? Durante la stesura di Fight Club, parlai ai miei amici dell'idea di un proiezionista che inserisce sequenze porno nei film per famiglie.
Ci fu un mio amico che mi disse di non usare nel libro quell'idea: avrebbe spinto un sacco di gente a inserire sequenze porno ovunque. Quando il libro uscì, un numero enorme di persone mi contattò rivelandomi che avevano già nascosto sequenze di sesso in film Disney, pisciato nelle portate da servire nei ristoranti, fondato dei fight club. Da decenni.
Perciò: facciamo più danni quando rendiamo condivisibili le nostre fantasie morbose, esplorandole attraverso racconti, canzoni o quadri? Oppure quando le deneghiamo e le censuriamo?
Le storie sono come gli esseri umani digeriscono le proprie vite: trasformando gli eventi in qualcosa che possono ripetere e controllare, raccontandoli fino a che esauriscano la loro carica. Fino a che non facciano più ridere o piangere o stupire. Fino a che sia possibile assorbire e assimilare anche il peggiore degli eventi possibili. La nostra cultura metabolizza eventi producendo versioni sempre più deboli dell'originale. Dopo che una nave è affondata o una bomba è esplosa - la Tragedia Originale -, ecco che abbiamo la versione dei tg, la versione del film tv, la versione del programma in radio, la versione blog, la versione del videogioco, la versione del piatto commemorativo, la versione dell'Happy Meal McDonald's, il riferimento nei Simpson. Eco che sfumano.
Poi, come accade agli aneddoti che si raccontano alle feste e che strappano sempre risate, quelle storielle tipo come abbiamo bevuto acido solforico e divorato mezza pelliccia una notte senza accorgercene, ecco che a un punto quegli aneddoti smettiamo di raccontarli. E NON perché essi abbiano smesso di fare ridere la gente - ma perché noi abbiamo metabolizzato quell'evento. E' risolto, finito; a chi racconta non serve più raccontare quella storia. Forse è per questo che i Radiohead non suonano più Creep ai loro concerti. Forse è per questo che si fanno sogni - compulsivi racconti che facilitano la digestione delle nostre esperienze, come cibo ptialinizzato, perfino quando dormiamo. Ma le storie che abbiamo il terrore di raccontare, di controllare, di rappresentare - quelle non escono, le uccidiamo prima. O meglio: questo è quanto ho detto ai miei amici quando mi hanno consigliato di starmene zitto e non raccontare storie pericolose. Non dare alla gente nuove idee.
Questa è la mia storia sul raccontare storie che raccontano storie.
Questo è il mio modo di metabolizzare. Dico ai lettori: prima raccontiamo una storia, prima riusciamo a tirarla
fuori e a farne un cliché, e meno potere quell'idea potrà esercitare.
Fino al secolo scorso, le religioni ci hanno fornito di un luogo dove era possibile raccontare le nostre storie più tremende. Dove rappresentare le nostre più terribili intenzioni. Una volta alla settimana si potevano trasformare i propri peccati in un racconto e narrarlo ai nostri simili. Oppure a un'autorità, la quale ci avrebbe perdonato e accettato all'interno della nostra comunità. Ogni settimana ci si confessava, si era perdonati, si riceveva la comunione. Non ci si è mai smarriti al di fuori della comunità, poiché si disponeva di questo regolare permesso. Forse l'aspetto più importante della salvezza è disporre di questo spazio, di questo permesso e di questo ascolto -per potere esprimere le nostre vite in una storia.
E' un luogo talmente sicuro da permetterci di apparire tremendi.
Ma appena le chiese sono diventate un posto dove la gente va per sembrare buona, invece di essere l'unico posto sicuro in cui permettersi il rischio di apparire tremendi, ecco che abbiamo perso quel luogo comune in cui potere regolarmente raccontare le nostre storie. E la salvezza, la redenzione e la comunione che questo raccontare permette.
Al posto delle chiese oggi si va alle terapie di gruppo, alle comunità di autoaiuto, nelle chat, sulle linee erotiche, perfino ai workshop tenuti da scrittori - per potere trasformare le proprie esistenze e le proprie malefatte in storie, per esprimerle, per darne una rappresentazione, e nel fare questo per potere essere riconosciuti dai propri simili. Rispediti nel gregge per un'altra settimana. Accettàti.
Avendo in mente questo: il nostro bisogno di trasformare anche la più orrenda componente delle nostre vite in storie; il nostro bisogno di raccontare queste storie ai nostri simili; il nostro bisogno di essere ascoltati, perdonati e accettati dalla nostra comunità - avendo in mente precisamente questo, che ne dite se fondiamo una nuova religione?
Potremmo chiamarla Chiesa delle Storie. Sarebbe un posto dove la gente viene a esaurire le proprie storie, un posto di performance in parole, musica o scultura. Una scuola in cui la gente può apprendere le migliori modalità per lavorare sulla rappresentazione, così da avere un maggiore controllo sull'espressione delle proprie storie e quindi sulle proprie esistenze. Un posto in cui esercitare un po' di distacco dalla propria vita e riflettere, abbastanza distaccati da riconoscere comportamenti angoscianti o paure irrazionali o debolezze caratteriali, e iniziare a cambiare tutto questo. Dove scrivere e riscrivere il proprio futuro. Se non altro, un posto in cui la gente può venire ascoltata e così andare avanti.
Sarebbe un luogo talmente sicuro da permetterci di apparire tremendi. Di esprimere idee terribili. Nella storia moderna, gente frustrata e deprivata di ogni potere si è ritrovata nelle chiese. Durante gli ultimi anni della segregazione razziale, la gente incontrava i propri simili nelle chiese e sapeva allora di non essere sola. I loro problemi personali non erano esclusivamente loro, ma anche di altri. Questa Chiesa delle Storie fornirebbe tutti di un luogo in cui connettersi e incontrarsi. Qui tutti noi disporremmo di un luogo e di un tempo in cui regolarmente è permesso raccontarsi le storie. invece di ignorare questo bisogno o appagarlo da Starbuck's nello spazio di un cappuccino -oppure indossando una barba finta e andando a piazzare le nostre storie abusivamente su un muro di museo - potremmo mettere a disposizione di tutti la possibilità e la struttura di cui hanno bisogno per incontrarsi. Per raccontare storie. Per raccontare storie migliori. Per raccontare grandi storie. Per vivere grandi vite.


questo è un articolo di Chuck Palahniuk. mi è piaciuto. e poiché era un bel pò che non scrivevo sul blog l'ho appiccicato a questa pagina.
non ci sta poi tanto male, dai..
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Commento di c3ru
02-12-2005 12:47
»
fantastico

Commento di LazerPhEa
02-12-2005 12:47
»
Adoro Palahniuk.

Commento di Anonimo (non registrato)
02-12-2005 12:47
»
Have a fantastic new year sweet writer. But I don't doubt about it.... When are you coming to London? L.

Commento di ousmanneh
02-12-2005 12:47
»
i must confess i have never been to London, if we exclude its airports.. shame on me!! :D thanks, L, and have a wonderful new year. :)

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